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12 feb 2017

Rieducazione funzionale post-traumatica: il problema si limita solo all'articolazione?

Cosa s’intende per trauma fisico?

Per “trauma fisico” si intende un evento lesivo che investe uno o più distretti del nostro corpo. Es. Una distorsione, una frattura ossea, una lussazione sono tutti traumi che coinvolgono le nostre strutture del nostro apparato locomotore.

Cosa vuole dire rieducazione funzionale?

Per “rieducazione funzionale” s’intende il recupero della funzione propria di una struttura corporea (un articolazione, un osso, un muscolo ecc.) persa a motivo di un trauma.

Cosa vuole dire quindi rieducazione funzionale post-traumatica?

Per rieducazione funzionale post-traumatica s’intende il recupero della piena funzione di una struttura corporea dopo un evento traumatico che l’ha interessata.

Quale obiettivo si prefigge la rieducazione funzionale?

La rieducazione funzionale ha l’obiettivo di riportare la struttura corporea traumatizzata al livello di efficienza posseduto prima della lesione.

In che modo la rieducazione funzionale permette questo?

Per ottenere l’obiettivo del totale recupero di una struttura corporea la rieducazione funzionale utilizza esercizi motori adattati alle capacità di volta in volta, la struttura corporea lesa presenta fino al raggiungimento del totale recupero.

Qual’è il normale processo rieducativo funzionale?

Dopo un evento traumatico viene prescritto un periodo di immobilità che tiene conto della natura della lesione. Per fare un esempio, il tempo di immobilità per una frattura ossea non è uguale a quello prescritto per una lussazione articolare.

Superato il periodo d’immobilità dell’arto si passa alla chinesiterapia accompagnata, ove fosse necessario, da terapie fisiche. La chinesiterapia viene strutturata in più sedute di ginnastica attiva studiate ad hoc per superare gradualmente le limitazioni di movimento che caratterizzano l’arto infortunato progredendo in modo costante fino al pieno recupero funzionale della struttura lesa.

Se questo non avviene?

Se invece la persona decide di non dare troppa importanza al trauma subito, terminato il periodo di immobilità cercherà da autodidatta di rieducare l’articolazione rigida e poco trofica in seguito al periodo di immobilità attraversato. Come la rieducherà? Tornando piano piano ad utilizzare quotidianamente l’articolazione.

Questa forma autodidatta di rieducazione solitamente però porta con se 2 inconvenienti:

Inconveniente n.1: se il trauma è stato molto doloroso la persona cerca di sgravare di lavoro la struttura che ha subito la lesione utilizzando maggiormente l’arto contro laterale, sovraccaricando questo ultimo ed esponendolo così all’insorgenza di problematiche muscolo-tendinee.

Inconveniente n.2: il vantaggio di un professionista che guidi la rieducazione è quello di aiutare il cliente ad andare a costo di un po’ di dolore in più, sempre restando nella sicurezza per tutti i tessuti biologici (tendini, muscoli, legamenti, capsule articolari ecc.) oltre la soglia di lieve dolore dovuta alla trazione sui tessuti immobili da tempo. Questo andare di volta in volta poco oltre questa soglia permette il recupero dell’intera escursione articolare persa in seguito al trauma. Qualora la persona non avesse queste conoscenze ed esperienza rischia di recuperare solo in parte il R.O.M. (ampiezza di movimento) dell’articolazione restando in questo modo con un articolazione poco mobile limitata per alcuni movimenti.

Articolazione poco mobile limitata in alcuni movimenti

Un articolazione poco mobile, limitata nei movimenti, avrà come conseguenza un sovraccarico di altre strutture che dovranno vicariare il suo deficit. Facciamo un esempio:

  1. Cingolo scapolare (spalla) ipomobile = è una spalla caratterizzata da una ridotta escursione articolare;

  2. Una spalla ipomobile è caratterizzata da un’accorciamento di tutti i muscoli che la incrociano, quest’accorciamento rende tali muscoli più vulnerabili agli infortuni (stiramenti, contratture ecc.);

  3. Una spalla ipomobile richiede un maggiore intervento di quei muscoli cosiddetti interscapolari (trapezi e romboidi -sia piccolo che grande-) ed erettori della colonna vertebrale che devono farsi carico di contrazioni supplementari per cercare di dare maggiore mobilità al braccio attraverso la scapola, esponendosi al sovraccarico e quindi a contratture muscolari;

  4. Una spalla ipomobile richiede un eccessiva iperestensione del rachide lombare che col progredire del tempo, può contratturarsi con conseguente insorgenza di dolore lombare (lombalgia). Oltre ciò l’ipersollecitazione delle vertebre lombari le espone ad un maggiore rischio, negli anni, di artrosi;

  5. Una lombalgia porta la persona ad utilizzare meno la regione lombare durante i movimenti a discapito di un sovraccarico del resto della colonna vertebrale con il rischio che insorgano dolori anche ad altre altezze del rachide come delle dorsalgie o delle cervicalgie. Anche per queste porzioni del rachide aumenta il rischio di insorgenza artrosica perché ipersollecitate per anni;

  6. Sfruttandolo meno il rachide lombare (perché duole), questo tende a diventare meno elastico e meno forte il che ci espone maggiormente a problemi quali contratture muscolari (i normali movimenti per la regione lombare diventano eccessivi perché non più “allenata” a compierli);

  7. Una regione lombare poco mobile limita in movimento sia le strutture site a monte (rachide, arti superiori e capo) che a valle ( bacino e gli arti inferiori) in quanto i muscoli sono organizzati in catene cinetiche e trovano nelle strutture ossee e nelle articolazioni gli “snodi” di giunzione di queste catene;

  8. Il dolore che caratterizza i muscoli contratti ci obbligano inconsciamente ad adottare delle posture scorrette dette “antalgiche” (che riducono o annullano il dolore);

  9. Quindi subentrano anche problematiche legate principalmente alla cattiva postura, ad esempio i paramorfismi che, a loro volta, danno vita a ulteriori compensi posturali che aggravano il quadro.

  10. Quindi, riassumendo:

    • Contratture dei muscoli periscapolari;

    • Contratture ai muscoli erettori della colonna vertebrale, trapezio e romboidi;

    • Paramorfismi temporanei;

    • Eccessiva estensione del rachide con rischio insorgenza di una lombalgia;

    • Insorgenza di dorsalgia e cervicalgia;

    • Parte cervicale, dorsale e lombare della schiena diventano così più vulnerabili agli infortuni;

    • Movimenti limitati di tutto il corpo che si traducono, insieme ai dolori legati alle contratture muscolari in uno scadimento della qualità della vita;

    • Artrosi;

    • Legamenti ipersollecitati (come quelli rachidei);

    • Dischi intervertebrali che subiscono delle sollecitazioni anomale;

    • Parestesie (come il formicolio ad un braccio conseguenza di una cervicalgia);

    • Altri… (non li elenchiamo per non dilungarci)

Come fare per evitare tutto questo in seguito ad un trauma?

  • Per evitare tutto questo, è necessario anzitutto che sia un professionista ad rieducarvi dopo un trauma, evitiamo il “fai da te”;

  • Come seconda cosa, è necessario che recuperiate il 100% di forza, elasticità e resistenza della parte lesa;

  • Come terzo elemento, bisogna tornare a utilizzare “quanto prima e più di prima” quell’arto o quell’articolazione precedentemente colpita dall’infortunio e successivamente riabilitata per evitare che resti sempre un po’ più debole rispetto la controlaterale.

A cura di Dr. Giuseppe Crisafulli
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